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I Management del dolore post-operatorio il 28 aprile scorso hanno pubblicato il loro terzo album, prodotto da Giulio Ragno Favero per La Tempesta Dischi. Il titolo, “I Love you”, prende spunto dall’omonimo film di Marco Ferreri dove il protagonista, stanco del suo rapporto con le donne, si innamora di un portachiavi con la forma di un volto femminile che al suo fischio risponde dicendogli "I love you!”. Le tracce confezionate dall’ensemble abruzzese sono 11 e diciamo subito che sembra un album di cover autoreferenziale dove la scrittura è al centro dei componimenti, con delle interessanti liriche sul nichilismo di Luca Romagnoli e soci. Due testi sono di altri autori: “Scrivere un curriculum” è tratto dalla poesia del premio Nobel Wislawa Szymborska, mentre “Il mio giovane e libero amore” è tratto da uno scritto anarchico del 1921.
La band ha dichiarato: ”Questo disco è dedicato a tutti quelli che, quando arriva qualcuno che dice: "fate quello che volete, ma non toccate l'albero con la mela", si dirigono immediatamente verso l'albero con la mela. Questo è l'amore, due ragazzi tutti nudi vengono messi dinanzi alla difficile scelta tra l'immortalità e la conoscenza. Tutti sappiamo che meravigliosa scelta hanno fatto”.
Va benissimo, ma la scelta dei Management non si capisce molto bene quale sia, “l’arte per l’arte” non è semplice anticonformismo, ma creazione in sé. L’eucaristia profilattica sul sagrato del Primo Maggio, potrebbe stimolare solo coiti interrotti, ma qui, c’è bisogno di sesso e amore per almeno 90 minuti senza Dejà Vu. Bisogna essere sinceri, al primo ascolto le parole contenute in questi brani affascinano, corteggiando le menti e i corpi più indifferenti, bagnando le pareti del cervello, stimolando la voglia di assaporare ancora una volta il liquido prodotto dalla voce del cantante. Ma poi, la voglia svanisce e il disco non rimane.
Alcune frasi sono notevoli:
“Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu”- dal brano “Scrivere un curriculum”, ma è tratto da una poesia di un premio Nobel.
Oppure l’attualità di “Le storie che finiscono male”:
“Il direttore ti ha licenziato
E tu hai tre figli da mantenere
Un grido che ti strozza tutte le sere
Lo sguardo dolce di tua moglie non lo hai retto
La stessa notte sei volato dal tetto
Alcuni dicono eri solo un perdente
Hanno una bocca e parlano il doppio
Hanno due orecchie e non sentono niente”
Che dire? Le recensioni non servono a nulla, sempre meno persone leggono, ancora di meno quelle che capiscono. Rimane la musica, unica arma invincibile e da cui non puoi nasconderti per veicolare messaggi. In questo caso manca il mezzo.
Saverio Caruso
La voce calda e potente di Daniele Berni e il ritmo incalzante delle chitarre di Marco Paradisi sono i primi ingredienti della musica dei Gran Torino che colpiscono, tanto da dover scomodare band come Soundgarden o Alter Bridge per dare un’idea del paragone.
Commistioni. Percorsi. In teoria questi due elementi li si possono ricavare e dedurre da tutto ciò che accade ogni volta che metti insieme due o più musicisti a suonare.



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Masoko_ Le Vostre Speranze Non Saranno Deluse
Scritto da Francesco ChiniQuel che probabilmente è successo ai redivivi Masoko non è poi rarissimo. Una decade di onorata carriera da hipster idols, la loro, uniformemente spesa tra finissimo gusto vintage per il recupero revivalistico-enciclopedico in chiave pop della new wave che fu (ma proprio TUTTA), riconoscimenti mai del tutto privi di fondamento ma spesso spropositati che li vorrebbero geni variamente compresi e/o purissimi paladini del per pochi, e soprattutto live a pioggia a dar sfogo a talento e stile.
Poche cose possono essere difficili da inquadrare come i contorni dell'eterna questione della libertà autoriale di un musicista. O almeno: non per più di qualche minuto. Specie se ci si abitua all'idea di fondo per cui entrare in contatto con il mondo di ogni artista ripropone lo stesso problema di una traduzione: mentre lo si decifra, ci si rende conto che è piuttosto fisiologico che qualcosa finisca per andar perso.
Vi sfido a dare una definizione alla musica dei 2Pigeons senza scadere in una formula che sia restrittiva. Finirete per buttarle giù un po’ tutte senza riuscire a scegliere: trip hop, downtempo, dubstep, industrial, electro... In Retronica la sfida si fa più dura: ad entrare in gioco ora sono anche jazz, rock e suoni lontani.

Pensateci: avere un’immagine ( e – che non è la stessa cosa! – un immaginario) senza diventare degli sparapose da competizione; prendersi tutta la fatica di scrivere per creare un contatto con l’esterno senza mai tradire il principio di urgenza, verità e qui-e-ora, epperò ambire a vivere di questo come di un lavoro senza mai porsi come messia calati dal cielo per svolgere missioni per conto di Dio; avere uno stile, ma non essersi mai potuti (né voluti, né vivaddio dovuti) agganciare a questo o quell’estemporaneo fiumiciattolo modaiolo per avere altre orecchie all’ascolto.





