Edward Norton tra narcisismo e talento: la recensione di Motherless Brooklyn
Scelto come film d’apertura della 14esima Festa del Cinema di Roma, Motherless Brooklyn è un film destinato a far parlar di sé, soprattutto per la presenza strabordante di Edward Norton in veste non solo di attore protagonista ma anche di sceneggiatore e regista. Nel mondo di Hollywood, si sa, Norton non è mai stato un attore facile con cui collaborare, a causa di un pessimo carattere e di un’inarrestabile smania di controllo. Non è infatti un mistero che il suo lunatico personaggio in Birdman (che gli è valsa la terza candidatura all’Oscar) sia ispirato proprio a lui. Dopo alcuni anni di latitanza dalla scena decide dunque di risolvere il problema a modo suo, producendo, adattando, dirigendo e interpretando un film letteralmente Norton-centrico che si ispira al bestseller di Jonathan Lethem.
Motherless Brooklyn è un noir ambientato negli anni ‘50 a New York in cui un investigatore privato affetto da sindrome di Tourette (ai tempi non diagnosticabile) deve indagare sulla morte del proprio mentore, il detective Frank Minna, interpretato da Bruce Willis. Diciamo fin da subito che la particolare condizione del protagonista rappresenta al tempo stesso uno dei pregi migliori del film e uno dei suoi più grandi difetti. A Bailey (la vocina nella testa di Lionel che lo costringe a muoversi e parlare contro la sua volontà) sono affidati alcuni dei momenti meglio riusciti di tutto il film: infatti, un po’ come per la risata incontrollabile del Joker di Joaquin Phillips, le stravaganti battute, i giochi di parole fuori luogo e i vistosi tic generano numerosissimi momenti che oscillano tra la tensione, l’imbarazzo e il ridicolo. Il pregio sta nella grande capacità di Norton di rendere credibili questi momenti e nell’efficace effetto tragicomico che restituiscono. D’altro canto c’è da considerare anche che questa forte caratterizzazione del protagonista alla lunga tende a essere ridondante, soprattutto perché privata di un necessaria funzione a livello narrativo. Lionel è un personaggio emarginato ma dotato di una grande talento investigativo: una memoria di ferro e la capacità di porsi le domande giuste (non a caso la parola “se” è il suo tic principale). La sua condizione risulta però essere un semplice conflitto pregresso e irrisolvibile, un elemento di difficoltà fine a se stesso, insomma un’occasione sprecata.
Per il resto, la confezione del film resta di spessore. Norton dirige con mano ferma e sicura, seguendo uno stile classico senza fronzoli che funziona alla grande soprattutto nelle scene di maggiore tensione. La fotografia e la colonna sonora fanno egregiamente il loro lavoro, così come i pregevoli costumi e le scenografie. E poi c’è un grandissimo cast di supporto che ruota attorno al protagonista: il già citato Willis, Alec Baldwin, Willem Dafoe e una convincente Gugu Mbatha-Raw.
La seconda opera registica di Edward Norton ci restituisce un autore fastidiosamente narcisista, di indubbio valore ma con ancora alcune lacune nella scrittura. Il film procede senza particolari sussulti, saltellando con pigra eleganza da un colpo di scena all’altro nel tentativo di fondere il plot principale e la sottotrama amorosa a una più generale, forse un po’ troppo scontata, critica verso il potere e chi lo esercita. Nella tradizione del noir, i vizi personali e le debolezze umane si rivelano il vero motore pulsante delle azioni di tutti i personaggi e il pacchetto finale risulta se non brillante, quantomeno coerente. Motherless Brooklyn è un film che si regge sulle interpretazioni e sulla messa in scena, ma pecca di un intreccio che sia davvero coinvolgente. Poco male, Norton avrà sicuramente tempo per migliorarsi e noi resteremo in attesa, curiosi di scoprire come e, soprattutto, “se” ci riuscirà.
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