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Albert Nobbs, regia di R. Garcìa

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image002Immaginate un racconto: quello dello scrittore irlandese George Moore che ha come protagonista un maggiordomo. Immaginate che questo racconto sia stato adattato per il cinema da Glenn Close insieme a John Banville e Gabriella Prekop.

Adesso lasciate perdere l’immaginazione ed ecco Albert Nobbs. Il film diretto da Rodrigo Garcìa, nelle sale dal 10 febbraio, con Glenn Close che veste i panni di quel maggiordomo con una devozione al personaggio e una bravura che le è valsa la candidatura all’Oscar 2012 come Miglior Attrice Protagonista.
Dopo trent’anni dalla rappresentazione teatrale del 1982 l’attrice Glenn Close, anche co-produttrice del film, reindossa i panni di questa ambigua figura che in un’Irlanda del XIX secolo dimentica di essere una donna per travestirsi da maggiordomo, poter guadagnare da vivere e quindi trascorrere una vita ordinaria, anonima, quasi priva di emozioni.
Albert Nobbs si muove con timidi sguardi e movimenti veloci tra le sale sontuose di un grande albergo irlandese. Qui si perde alla ricerca di un’identità e di un sogno da realizzare, rimane vittima di un triangolo amoroso che ha come protagonisti la cameriera Helen (Mia Wasikowska) e il neoassunto Joe (Aaron Johnson). Distolto dalla monotonia dominante di quel lavoro di maggiordomo, grazie alle parole di un pittore ospite dell’hotel, Nobbs deciderà di riavere una vita normale, una famiglia, un amore. Lui che in realtà è una donna sfuggita alla miseria, che trova consolazione negli spiccioli ricevuti da ricchi clienti dell’hotel. Un gioco di identità, già caro da secoli a letteratura e teatro, che genera malintesi, malizie e i mali di sempre. Non c’è fuga? Si può ritrovare la propria identità? Aleggia il mistero. Rimane lì. Nel film e dentro lo spettatore.
I temi del film sono particolarmente interessanti come ha dichiarato lo stesso regista Garcìa: “Albert, come tutti i personaggi della storia, vuole di più per se stessa e, cosa importante, tutti i personaggi vogliono dare il meglio di sé. Molti di loro sono intrappolati in un’esistenza soffocante, costretti a indossare maschere metaforiche e ad occultare la propria identità”.
Strabiliante scoprire la figura del pittore Hubert Page interpretata da Janet McTeer candidata all’Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista. Hubert Page è quello che Albert desidera essere.
La fotografia, diretta da Michael McDonough, suggerisce l’epilogo della storia con prepotenza ad ogni immagine, i costumi impeccabili di nobili e servitù sottolineano una perfezione ipocrita. Inesistente. Ovunque c’è solo ordine ed eleganza, lustri e ricami, cristalli e tendaggi: becero involucro esterno di un’attrazione disordinata e fatale verso la vita vera. Che rimane vissuta in un sogno e “indossata” per pochi attimi in una corsa liberatoria. E nient’altro.

Elsa Piccione

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