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Le Gorille_ Nautilus

Le Gorille - Nautilus copertina

Le Gorille - Nautilus copertinaPoi uno dice cosa dovrà mai volerci, per fare un album strumentale coi controcosi. In effetti è una bella domanda, da noi. Nel senso: tra le poche cose che pur sempre non ci mancano, c’è ancora quella fervida immaginazione paracula che se le gira è capace di rimasticare, restylizzandola, praticamente qualsiasi cosa.

Semmai poi va a finire che ci si ingolfa sul finale, quando subito prima di andare in scena ci si fa prendere dalla solita paranoia per cui non funzionerà, non venderà, catastrofe sarà, per cui tiraccampà e dai facce abballa e facce lacrimà, trallallerollerollà. Voi ridete, ma ce l’avete una vaga idea della creatività freestyle davvero in possesso di due terzi dei musicisti sull’altare dei cui immancabili e variamente irritanti tentativi di mimetizzazione con l’ambiente circostante avete sacrificato del tempo che, come al solito, non ritornerà?
Ecco: mentre siete lì che riflettete sul destino cinico e baro dell’artista che deve-non-deve rinnegare la sua arte ai labbroni rifatti della comunicazione, ecco che con fragorosa rincorsa dai fondali delle controtendenze vi e ci piomba addosso un sottomarino scaltramente pilotato da tre pischelli livornesi, recanti un album fico come il sederino il cui passaggio vi siete appena persi per leggerne.
Loro sono i Le Gorille (omaggio non banale: certo ricorderete il gorilla di De André che rileggeva Brassens che stilizzava l’Oltralpe che al mercato mio padre comprò) e il suddetto sederino musicale è già il secondo che brevettano.
Si intitola Nautilus, dà seguito all’eponimo debutto del 2008 (e a diverse successive e apprezzate peripezie europee) e – soprattutto – è una signora risposta alla domanda che ci ponevamo in apertura.

Segue un piccolo, largamente incompleto elenco di risposte al vostro “perché?”: fusion, posato jazz urbano, beat, tempi in levare, rubati da consumaterrimo manuale di swing, inseguimenti, Fernet Branca, monoliti, Guybrush Threepwood che si sente dire che più che un pirata sembra un rappresentante di biancheria, faraoni egizi che ballano a tempo di Tarantino saggiamente citato ma non abusato (il sottogenere presenta infatti forti segnali di inflazione), altezze Sixties, cartoons, corpose iniezioni di post punk dilatato, sigle televisive anni Cinquanta.
E a far da perno c’è appunto lo sbilenco Nautilus dell’evocativa, stramba e liquida title track, che sostituisce il telescopio con un caleidoscopio a tinte vintage attraverso cui rollare i solchi di piccole architetture che rimandano ai repentini cambi di registro di un Danny Elfman o di un Prince ultima maniera pescato a jammare con qualche vecchio marpione di arrangiatore della Rai.
Solo che i tre di anni ne dichiarano un trentello a cranio: e se la dinamica paraculaggine di diversi acrobatici accostamenti lo palesa senz’ombra di dubbio, dall’altra farete caso a una pulizia e un gusto (specie i suoni, vinilici che davvero mancano solo i solchi) che ne faranno seriamente dubitare.
Sicché, ricapitolando: un disco interamente strumentale che, a differenza di tanti suoi colleghi difficilmente farà meno che farvi a lungo e ininterrottamente godere, una grande rilettura di generi a base di innovazione e immaginazione quanto di gusto, e Calibro 35 non più tutti soli tra le nuove promesse del settore, il tutto ad opera di un trio di pischelli.
Tra loro e i Jackie O’s Farm, va a finire che è tempo di un antidoping al cacciucco. Nel frattempo, correte a rimediarvi Nautilus. O se volete lamentarvi che la musica strumentale vi appalla, non venite da noi.

Le Gorille:
Claudio Laucci: pianoforte + organo
Giorgio Ramacciotti: chitarra + basso
Matteo Falleni: batteria + percussioni

TRACKLIST:
01. Monolite
02. Gli aborigeni
03. Nella piramide
04. Terra del fuoco
05. Nautilus
06. Florinda Sunderland
07. Alka Selzer
08. Paradisi indiani
09. I sotterranei
10. Kamčatka
11. Notte sulla terra

Francesco Chini

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