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Garofano Verde 2011

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Tutto Nostro

Tuttonostro_1Due donne sedute nella sala d’aspetto di uno studio ginecologico che scambiano qualche frase di circostanza per ammazzare il tempo dell’attesa e Tutto Nostro (di A. Di Marco, V. Reginelli, C. Renzetti, per la regia di A. Di Marco e C. Renzetti) ha inizio. Ed è così che prende avvio uno spettacolo che porta in scena con estrema semplicità e ironia una specie di danza ritmata e alternata a coppie che il 16 giugno ha animato il palcoscenico del Teatro Belli nell’ambito della rassegna Garofano Verde. Scenari di teatro omosessuale (alla sua diciottesima edizione) dedicata per l’appunto a tematiche che riguardano da vicino il mondo omosessuale.
I sei attori in scena (Alberta Andreotti, Alessandro Di Marco, Michela Fabrizi, Giovanna Muschietti, Claudio Renzetti, Claudio Strinati), rappresentano le vicende di tre coppie di conviventi che abitano nello stesso condominio.
Tutte quante sono in una fase critica, stanno attraversando un momento di crisi per questioni nello specifico diverse, ma tutte legate a uno stesso problema: la difficoltà di concepire un figlio insieme. Due delle coppie in questione sono composte da persone dello stesso sesso, mentre la terza da un uomo e una donna. Per la coppia di lesbiche avere un figlio rappresenta un motivo di rottura, perché non sono entrambe a volerlo; per i due ragazzi omosessuali che vivono al piano di sopra, un figlio è in arrivo grazie all’utero di un’amica, ma significa una gioia immensa solo per chi dei due è il padre biologico, mentre è ragione di preoccupazione e nervosismo per il compagno che, oltre all’ansia dovuta alla responsabilità di cui da lì a poco saranno investiti, si sente completamente escluso dal progetto.
Per la coppia eterosessuale le cose non vanno diversamente: la scoperta di essere sterile manda completamente in tilt l’uomo, che di fronte alla volontà della sua compagna di provare ad avere un bambino in ogni caso, si sente tirato fuori, messo da parte, e non trova migliore reazione che quella di opporsi con tutte le sue forze al desiderio della compagna, rifacendosi ad argomentazioni di natura genetica per cui la possibilità di adottare un bambino o di lasciarla partorire ricorrendo alla fecondazione assistita non possono in nessun modo rappresentare un’alternativa alla sua frustrazione e sofferenza di non poter somigliare fisicamente al bambino.

Il ritmo dello spettacolo è incalzante. I dialoghi, le liti, i riavvicinamenti tra le coppie si avvicendano sul palcoscenico in un unico lungo quadro: gli attori restano per gran parte del tempo in scena contemporaneamente, passandosi la palla a colpi di frasi interrotte e interrogativi sospesi che ripresi dalla bocca di un altro si inseriscono di colpo nella vicenda di un altro dei nuclei familiari protagonisti.
Sullo sfondo una tela retta da un cavalletto dove a turno gli attori attaccano delle figurine di cartone dallo stile e dai colori infantili che man mano che l’opera volge al termine compongono un insieme sereno, come sembrano essere le vite dei protagonisti passato qualche tempo: fatta eccezione per la coppia di donne, le altre due sono felici. Felici di essere una famiglia e di avere un bambino tutto loro. “Tutto nostro, questo è l’importante”, come afferma finalmente soddisfatto l’uomo della coppia eterosessuale.
Un messaggio che può sembrare banale, ma che in realtà non risulta scontato in una società in cui ancora è necessario lottare duramente, perché si accettino altri tipi di concepimento e in cui la comunità omosessuale è costretta a combattere anche solo perché le coppie possano essere riconosciute da un’unione di fatto.
Rassegne del genere è bene che ci siano, ma la dicono lunga su quanta strada ci si ancora da fare, perché i diritti siano gli stessi davvero per tutti.

Alice Salvagni


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