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Corpo celeste, regia di A. Rohrwacher

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immBastano pochi secondi di visione per capire che Corpo Celeste è un film diverso dagli altri. Quello che spesso accomuna un film, infatti, è il riuscire a portarci in un’altra dimensione mentre lo vediamo; ci estraniamo per due ore, viviamo in un’altra realtà, indifferentemente se la storia narrata sia fantastica, a lieto fine, cruda, brutta o altro.

Qualsiasi essa sia, è una fuga dalla realtà per lo spettatore. Con questo film, invece, non è così. Forse perché la regista, al suo primo film, Alice Rohrwacher, sorella minore della sempre più affermata attrice Alba, decide di girare con una qualità d’immagine simile a quella del documentario, genere nel quale si era già cimentata nel 2006. Una qualità d’immagine che influisce molto sulle sensazioni che trasmette, facendoci sentire addosso la storia sullo schermo, rendendoci assolutamente aderente la realtà raccontata.

La trama ci racconta della piccola Marta (Yle Vianello, esordio anche per lei), 13 anni, che dopo aver vissuto dieci anni in Svizzera, si ritrova catapultata a vivere nella periferia di Reggio Calabria insieme alla madre emigrante di ritorno (Anita Caprioli) e la sorella maggiore.
Per la complessa personalità della ragazzina, già di per sé in un’età delicata, il trauma è forte e la regista ci mostra come Marta viva il suo divenire lentamente donna in una realtà che non le appartiene. Per cercare di farla aprire, i familiari la iscrivono al catechismo, ma qui le inquietudini della piccola non fanno che aumentare tra una catechista teledipendente e innamorata del parroco, dei compagni di corso con una mentalità completamente differente e soprattutto una fede che in Marta viene pian piano sempre meno, portandola spesso ad interrogarsi su Gesù e l’esistenza di Dio.
Sullo sfondo di questa storia, la Rohrwacher ci mostra la dura realtà di una periferia del sud Italia: una mamma che deve crescere da sola due figlie lavorando tutto il giorno; un prete (Salvatore Cantalupo) che cerca disperatamente di essere trasferito e prova a fare favori ai potenti raccogliendo firme per le elezioni tra i suoi fedeli; un vescovo con poteri e arie da “padrino” e situazioni familiari nelle quali è vietato lamentarsi.

C’è solo un elemento che lascia spiazzati: sembra che per Marta il catechismo sia l’unica possibilità di socializzare, come se la scuola non esistesse. Fuori casa, per lei c’è solo il catechismo, difficile da credere.
Ma probabilmente è stata una scelta ben precisa della regista, che ha voluto evidenziare le crisi di fede della protagonista in una fase particolare di crescita e le contraddizioni di una piccola parrocchia di periferia e del suo parroco.
Ad ogni modo, la visione di questa pellicola, è qualcosa che rimane dentro lo spettatore per un bel po’ di tempo…

Alan Di Forte

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