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Alexander Calder I

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Calder e Mirò su grande scala

MiroI mercoledì di Calder continuano al Palazzo delle Esposizioni. Le conferenze, organizzate per dar spazio ad originali e inedite presentazioni dell’artista americano, stanno ottenendo un notevole successo di pubblico, che ogni mercoledì riempie la Sala Cinema del complesso di via Nazionale.
L’ospite del  20 gennaio è stato Oliver Wick che, svizzero, dopo aver lavorato per diverse gallerie, si è affermato come curatore indipendente di mostre sull’arte del XX secolo e, tra le altre, ha curato una retrospettiva su Mark Rothko, nel 2007, proprio al Palazzo delle Esposizioni.
L’idea dell’incontro vuole essere quella di raccontare l’amicizia che legò Calder e Mirò dal 1928 al ’76, anno di morte dell’artista americano. Un’amicizia animata da due temperamenti molto diversi: Mirò, uomo riservato, intellettuale si confrontava infatti con Calder personaggio più aperto, ludico che si divertiva a giocare e provocare con l’attività artistica e la cui iniziativa era indispensabile al perpetuarsi dell’amicizia stessa. Ma le parole di Wick più che soffermarsi sull’aspetto affettivo del legame vogliono dimostrare il modo in cui i due artisti hanno dato vita a fenomeni artistici convergenti, evidenziando in particolare la loro tensione per le opere di grandi dimensioni. Ad accompagnare il discorso sono le immagini della mostra Calder-Mirò che Wick realizzò alla Fondazione Beyeler di Basilea nel 2004,con la collaborazione della Phillips Collection di Washington. L’esposizione riproduceva, attraverso le opere, le diverse fasi di questo lungo rapporto che vede i sue due momenti più importanti prima nel ’37, anno della partecipazione di Calder e Mirò al padiglione spagnolo per l’ Esposizione Universale di Parigi, poi nel ’47 quando vengono loro commissionate due opere da parte di John Emery per il suo Terrace Plaza Hotel di Cincinnati.

La mostra di Basilea si apriva con una serie di opere che Mirò iniziò nel 1925, dove evidente era il fascino subito dall’artista per il mondo circense. Più che la lettura delle singole figure, importante era però il movimento di quest’universo pittorico, condensato per esempio nell’acrobata di quell’opera conosciuta come “The Circus House”.  Nell’esposizione i lavori di Mirò erano poi accompagnati dalle sculture circensi di Calder, le quali nella realtà erano protagoniste di spettacoli interattivi che passavano per le città accompagnati dai dischi che metteva la signora Calder. E proprio la passione comune per il circo sembra essere il punto d’inizio della loro famosa amicizia. All’inizio degli anni ’30 infatti Calder è molto attivo: visita lo studio di Mondrian, che gli darà l’ispirazione per i suoi Mobiles che si porrano come soluzione alla necessità di rimediare agli “sprechi” di movimento a cui, secondo lui, erano sottoposte le statiche figure dell’arte astratta. Questo è un momento chiave per Calder: infatti parallelamente alla sua attività di performancer egli comincia a costruire delle costruzioni meccaniche celesti, comincia insomma a ideare i suoi Stabiles. Nello stesso periodo contatta anche Mirò, forse proprio perché aveva visto i suoi quadri sul mondo del circo. Entrambi intanto frequentavano Parigi. Calder l'”americano”, che si permetteva di viaggiare nonostante il dollaro alto, era riuscito a conquistarsi una discreta notorietà nella capitale francese, grazie ai suoi ritratti e sculture in fil di ferro. Faceva le sue performances nei caffè di Parigi ritraendo live personaggi famosi o scolpendo il volto di Kiki de Montparnasse, la prostituta più famosa della città. Calder lì inventò un nuovo modo di fare arte, cominciando a prendersi gioco del tradizionale, dell’accademico usando i suoi modelli ma capovolgendoli. Così si cimentava nella scultura facendola però rinunciare alla sua massa, faceva ritratti ma il suo soggetto poteva essere Kiki de Montparnasse, non rinunciava al  nudo, topos tipico della scultura classica ma le figure prendevano forma dal fil di ferro. Come testimonianza di quegli anni Wick mostra le foto della terza sala della mostra di Basilea che conteneva tre ritratti di Calder, liberamente sospesi e la sua sultura “Spring”,dove la firma dell’artista è la foglia di fico davanti al sesso.

Mirò, invece,artista più ordinato e introspettivo, che non lasciava niente al caso, “quasi un contabile!”, entrò nell’avanguardia parigina con un ottimo biglietto da visita che gli permise di acquistare notorietà in quel mondo già affollato di artisti in cerca di fortuna:  suo grande estimatore era infatti Picasso che, affascinato dalla pittura quasi primitiva dell’artista catalano, da lui  comprò anche due ritratti. Wick arriva allora ad illustrare la terza sala della mostra di Basilea, quella che testimonia l’incontro concettuale dei due artisti. Il curatore tiene però a sottolineare come il progetto non fosse teso a documentare le possibili influenze dirette attive fra i due, del resto quasi assenti, ma a mostrare come si resero artefici di fenomeni comuni, nonostante intrapresero poi strade differenti. Così nella stessa sala, la terza della mostra, dov’erano esposti dei Mobiles stabili di Calder degli anni ’30-’32, vi era esposto anche il famossissimo “The Birth of the World” di Mirò, sintomatico della volontà dell’artista di far vivere il suo universo pittorico, importante in se stesso, su grande formato, tradendo una delle fissazioni della sua vita: il desiderio dell’affresco.

Nel 1933 Mirò stabilisce il suo procedimento di lavoro tradotto in dei quadri formulati in serie. E la mostra-testimonianza ne riuscì ad esporre quattro di queste 18 peintures d’apres collages che in quell’anno Mirò produsse a Barcellona: erano collage su carta, formati da ritagli di cataloghi di meccanica, accorpati secondo la pratica surrealista e poi messi su un muro dove venivano pitturati. Le  rappresentazioni erano forme biomorfe che avevano perso qualsiasi riferimento con la realtà. Nella sala quest’ultime erano affiancate da opere di Calder più tarde, le Constellations: opere con elementi mobili in legno, collocati in cornici,che formano figure bioforme, quasi teatrali.
Nel 1933 però la situazione europea cominciò a precipitare: Hitler aveva preso il potere in Germania e tutto lasciava presagire l’avvento di una guerra disastrosa. Così i coniugi Calder decisero di tornare in America. E’ in questi anni che Alexander comprò la sua fattoria a Roxbury, che subito eserciterà una diretta influenza sulla sua arte, facendogli conquistare scale più grandi. Nel ’37 nella galleria di Pierre Matisse, figlio dell’artista Henri, esporrà infatti “The Big Bird”, che sarà accompagnato da quasi 200 piccole sculture che se la gente glielo chiederà lui potrà costruire in tutte le dimensioni. Intanto, nel 1936, anche Mirò lascia Barcellona a causa della guerra civile spagnola: questo sarà un periodo di profonda crisi creativa per l’artista, gravemente avvilito per gli avvenimenti di cui è protagonista la sua terra. Nello stesso anno la ormai debole Repubblica Spagnola decide però di partecipare all’Esposizione Universale di Parigi con un padiglione spagnolo curato dal giovanissimo architetto Josep Lluis Sert che per l’occassione commissiona a Mirò un’opera di grande formato, che vedrà per la prima volta in pubblico l’artista a grande scala. L’artista dipinge così il suo “Le Paysan Catalan en Revolté” su un pannello d’isorel, un legno artificiale, che sembra un vecchio muro scavato da diverse imperfezioni. Mirò scriverà delle lettere a Pierre Matisse in cui gli dirà: ”L’ho dipinto direttamente!”.L’amicizia tra Calder e Mirò, nel ’37, raggiunge il suo culmine: nella sala centrale del padiglione, infatti, davanti al “Guernica” di Picasso viene collocata una fontana di mercurio liquido di Calder. Il mercurio, in quel periodo, era molto costoso ed uno dei centri più importanti per la sua produzione era Almaden, città spagnola ancora nelle mani dei Repubblicani. La combinazione fu possibile perchè Calder, tornato dall’America lo stesso anno, una volta giunto a Parigi contattò Mirò che glì parlò del futuro padiglione spagnolo. L’artista americano all’inizio fu rifiutato perchè non di nascita spagnola, ma dopo aver scartato una fontana di marmo classica del ‘900 come contenitore di quello che doveva rappresentare il potere politico repubblicano, Sert gli affida la costruzione del dispositivo. L’inaugurazione avvenne in luglio e riscosse un successo clamoroso. Un’eco dell’incontro tra il “Guernica” e Calder per Wick si potrà rintracciare in uno dei primi Mobiles di grandi dimensioni ”Black beast(1940) che con quelle braccia alzate sembra interpretare un urlo colletivo generato dalla profonda angoscia del periodo bellico. L’opera, la più politica che conosciamo di Calder, nella mostra di Basilea era stata correlata con il fregio che Mirò disegnò per la camera dei bambini di Pierre Matisse: su di esso figure mostruose si materializzavano, i fantasmi di un Mirò preoccupato dalle sorti politiche cercavano spazio.

Nel 1938 Calder torna in America e da lì scrive a Mirò, raccontandogli di quello studio che diventerà il suo mondo, “l’universo Calder”. Mirò che aveva sempre dipinto in situazioni temporanee come nella fattoria dei genitori, in alberghi o appartamenti e che da anni serbava il desiderio di un atelier, pubblica un testo in cui esprime tutta la sua frustrazione per non poter cimentarsi in opere monumentali a causa dell’assenza di spazio.Dopo il ’39 la guerra diventa sempre più atroce. Mirò da Parigi si trasferisce a Varengeville, dove affitta una piccola casa. L’esposizione di Basilea riesce a raccogliere dieci delle sue famose ventitrè Constellations che Mirò dipinge in questi anni: sono piccole opere dipinte con l’acquarello il quale, trattato, crea l’effetto di muri in miniatura. L’artista sopra vi dipingerà figure fantastiche, non più mostri: la guerra infatti è scoppiata ed egli si consola costruendosi un mondo solo suo. Wick le correla con le miniature di Calder, costruite da lui come dono di compleanno per la moglie.

Tutti questi lavori costruiscono un climax che culmina nell’anno più importante per i due, il 1947. La mostra di Basilea espone le testimonianze del loro progetto comune: l’affresco e il Mobile che Mirò e Calder idearono per il Terraca Plaza Hotel a Cincinnati. Pierre Matisse, infatti, rappresentante di Mirò negli Stati Uniti, intraprende in quegli anni un contratto con John Emery, un ricco architetto americano di Cincinnati che costruirà l’albergo dove verranno ospitati i due artisti, il primo hotel dell’America post- depressione. A Mirò sarà commissionato un enorme dipinto, una tela di 3 metri su 10, la sua più grande opera pubblica da collocare nel Gourmet Restaurant, il ristorante dell’albergo. Calder invece costruirà un grande Mobile “Twenthy Leaves and an Apple” per la lobby dell’hotel, al settimo piano.
Alla fine del 1947 Mirò incontrerà il direttore del MoMa di New York con il quale organizzerà una mostra dove esporre il fregio. L’esibizione avrà luogo nel ’48 e in quell’occasione l’Europa si presenterà all’America, già attraversata dalla fase decisiva della nuova arte americana del dopoguerra, e Mirò potrà avverare quel desiderio che tanto aveva coltivato durante la guerra: parlare al Nuovo Continente tramite un’opera gigantesca.

Asia Leofreddi

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