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Al Bar della Rabbia è sold out

Mannarino
[MUSICA]

MannarinoROMA- Sabato 30 gennaio, Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica, sold out.
Ore 21: inizia l’Alessandro Mannarino Show…

Si spengono le luci e la tensione è già carica. Si percepisce la voglia della gente seduta di “scaldarsi” con la musica e l’inizio, con una “Il Bar della Rabbia” eseguita con sola chitarra classica, introduce immediatamente nell’anima stornellatrice della musica Mannariniana. Che poi però non è solo quello. Tra musica melodica, pizzica rivisitata, stornelli romaneschi, ricordi atavici di un certo Capossela nostrano, alla fine la musica di Mannarino e della sua band è un tale intruglio di movimenti, di armonie, di melodie e di ritmi che sembra, ogni volta, di ascoltare un artista diverso: da De Andrè a Capossela, da Tom Waits a Gabriella Ferri. Eppure la sua forza è di avere comunque un rif di sottofondo che, subito, ti permette di riconoscerlo.
Partendo dalle sonorità e dai ritmi della musica popolare italiana, Mannarino condisce il proprio mondo con elementi di musica balcanica e gitana, citazioni felliniane ed evoluzioni circensi nei suoi testi, macchiati dai forti toni del surrealismo, dove convivono storie oniriche e tragicomiche di pagliacci, ubriachi e zingari innamorati.

Stornellatore moderno, cantautore metropolitano, Mannarino entra sul palco e spopola. Otto gli elementi sul palco, compresa la voce calda di Simona Sciacca: tastiere e fisarmonica, contrabbasso, fiati (tromba e trombone), batteria, basso e tutte le chitarre possibili e immaginabili, compresa quella che non abbandona mai le braccia di Mannarino, not self made man, ma indiscusso popolar- mattatore del palco.
Funambolo della parola, dalla timbrica particolare, ci accompagna nel viaggio onirico e sentimentale del suo primo lavoro discografico, Il Bar della Rabbia, dove assistiamo ad amori che finiscono, a storie di povera gente, a sognatori pazzi, tutti sottesi da un ottimismo vitale ed indimenticabile. La scaletta è un crescendo di emozioni musicali che la gente dalla platea chiede a gran voce, in una scenografia scarna, ma illuminante: sembra davvero di essere in un bar sotto il mare che richiama alla memoria, un grande della scena letteraria italiana.

Tra canti e parole, bicchieri di vino immaginari e reali, il discorso apertosi con l’omonima del suo disco, Mannarino lo prosegue con canzoni come “Le cose perdute”, “Osso di seppia”, “Tevere Grand Hotel”, “Il pagliaccio”, “La strega e il diamante”, per poi creare una sorta di trilogia dell’amor perduto: lui che se ne va , lei che se ne va (“L’amore nero”) e una storia d’amore che finisce, per fortuna (“Scetate Vajò”).
L’excursus ne Il Bar della Rabbia si arricchisce di contaminazioni di vecchie composizioni tra cui, richiesta nientemeno che via e-mail, “Fatte bacià” e con una dedica speciale a tutte le donne presenti in sala con “Me so ‘mbriacato”. Si finisce con “Elisir d’amore”, ma il pubblico ancora non è sazio, quindi giù con i bis. Tutti in piedi per battere il tempo, per ballare, per immaginare di avvicinarsi alla stella che illumina Roma di una nuova luce musicale.
Suona fanfara sgangherata, per gli esiliati dal mondo delle favole. Cantate ciurma di ribelli, che al suono delle vostre voci, scappa la tarantola della disperazione”. E tutto ricomincia daccapo, ma stavolta in macchina sotto la pioggia al suono della musica che esce dalle casse…

Edyth Cristofaro

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