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99 Posse: tris al Rising Love

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[MUSICA]

1_1362ROMA- A 9 anni di distanza dall’ultimo album (NA9910), a 5 anni dall’intervista che, su “Il Mattino”, stabiliva “il discorso chiuso” e le possibilità di un ritorno, diceva Zulù, pari a zero… San Gennaro ha fatto il miracolo, dimostrando anche la sua arte del moltiplicare.

Dopo il concerto del 9 ottobre all’Alpheus, la 99 Posse torna a Roma. Direte: un’altra volta? No, tre…volte: tra 26 e 28 gennaio, al Rising Love, i 99 hanno fatto tris.
Chiamatela nostalgia dei bagni di folla, bisogno di sentir parlare di sé dai media, emergenza democratica, esigenza di rinvigorire gli animi antagonisti del pueblo italiano (o le tasche), fatto sta che il tempo sembrava essersi fermato. Stessi brani, stessa energia. Se non fossi stata una nostalgica dei tempi andati probabilmente avrei detto che non si sono saputi rinnovare nemmeno un po’. Ma poi a rifletterci, sarebbe comunque risultato inutile un rinnovamento, quando i testi dei brani sono più adatti ora che 17 anni fa.
Sopra il palco la formazione è quella d’origine Luca Persico, Marco Messina, Massimo 1_172Jovine, Sacha Ricci, Claudio Marino. Leggera ma efficiente modifica sono le due new entry da esportazione: Peppe Siracusa (ex chitarra degli Aretuska) e Gennaro De Rosa (batterista e percussionista, tra i tanti, di Mandara e Parto delle Nuvole Pesanti).
Sotto il palco ci sono per lo più le stesse vecchie volpi, scettiche, un po’ invecchiate e con meno voglia di pogare, ma qualche nuovo adepto in piena crisi adolescenziale non manca.

Comincia con flemma il concerto del 27 gennaio. Si parte con una passeggiata tra i primi album: “Avrei voluto conoscervi” (1996), “Vuless” (1998), “Povera vita mia” (2000). Ma la ventata di novità, inaspettata, arriva. “Italia a mano armata”, un groove vecchio stile con la partecipazione “speciale” di Borghezio, è il nuovo pezzo, risultato dalla campionatura sonora di un B-movie italiano anni ’70 di Franco Micalizzi.
Tra una chiacchierata e l’altra, tra provocazioni, nomi e sarcastiche dichiarazioni di intenti si passa ai classici, sfoderando quasi tutto l’album che li aveva portati nell’olimpo delle canzoni da movimento sociale. Dal 1993 scorrono veloci “Curre curre guagliò”, “Odio”, “Napoli”. Viene rispolverata anche “La gatta mammona”, una splendida tammurriata arricchita dalle percussioni atipiche (un vassoio della Moretti) di Gennaro De Rosa.
Nel frattempo i proiettori alle spalle del palco e accanto al pubblico regalano delle immagini eclettiche, sbiadite, taglienti, provocatrici. Riescono più di  ogni altro tecnicismo a rispecchiare appieno l’odio e l’ironia, ad accompagnare la psichedelia e la ragione di ogni testo.

1_1811Diverso approccio per “El pueblo unido”, secondo Zulù selezionata come canzone positiva della serata. Comincia deliziosamente swing, per poi prendere le sue originali spoglie combat. Illusione effimera ma d’altronde troppo irreale. Antimafia, stragi di stato, Lega e crude metafore ci sono sempre… il discorso di opposizione dei 99 Posse è sempre quello, alimentato solo da ronde, nuove violenze della polizia e dalle tecniche all’ultima moda dell’intelligence.
Tra i medley di “Salario Garantito” e “Rafaniello” comincia ad intravedersi tra la folla un personaggio familiare. Non ci vuole molto per vederlo catapultato sul palco. Piotta, tra improvvisazioni e “La grande onda”, dà il suo simpatico contributo. Poi con affilate gag e frasi ad effetto passano via anche “Ripetutamente” e “‘O document”. E tanto per ricordare i fascisti, questi (s)conosciuti, la serata si conclude tra “Rigurgito antifascista” e la solita dichiarazione di non volgarità che non manca mai… Vuoi o non vuoi, anche se ripetuta sempre, un sorrisino lo strappa comunque.
Rimandiamo all’uscita del primo disco post-reunion – previsto per quest’estate – l’onere di decretare il successo del rilancio o il salto nel vuoto di quelli che, Stalin alla mano, rifondano il comunismo musicale. E, per ora, a tris hanno vinto loro…

Emiliana Pistillo

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