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Ascanio Celestini “la pecora nera”

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Pecora_Nera_071ROMA- 18 giugno, Auditorium Parco della Musica, forse uno degli ultimi spettacoli della Sala Sinopoli prima che inizi la stagione della Cavea: Ascanio Celestini sul palco e il pienone in sala. Già detta così, l’affermazione appena fatta, è foriera di un buon risultato artistico, ma in realtà è la genialità di Celestini, la sua fama di attore impegnato, socialmente, civilmente, politicamente a dire tutto di lui.

La rassegna che sta portando in giro per l’Italia in questo periodo, porta il titolo emblematico di Antologia, ed è una vera “raccolta” dei suoi spettacoli più famosi, da Radio Clandestina a Scemo di Guerra, fino ad approdare a La pecora Nera e al nuovo Cecafumo, un susseguirsi di fiabe, filastrocche, in un caleidoscopio di storie e rapidi giochi di parole.
Ancora una volta Celestini stupisce: La pecora nera- Elogio funebre del manicomio elettrico è uno spettacolo che tocca sul vivo con la sua poesia, con il dolore sommesso, con l’incertezza che racconta e, perché no, anche con la confusione del racconto che è parte integrante dello stile “popolano” dell’attore.

Ha detto lo stesso Celestini: ” Io raccolgo memorie di chi ha conosciuto il manicomio un po’ celestini015come facevano i geografi del passato. […] Ascolto le storie di chi ha viaggiato attraverso il manicomio non per costruire una storia oggettiva, ma per restituire la freschezza del racconto e l’imprecisione dello sguardo soggettivo, la meraviglia dell’immaginazione e la concretezza delle paure che accompagnano un viaggio.”
Ed è proprio un viaggio quello che comincia sul palco quando Celestini finiti gli applausi comincia a raccontare la sua storia di follia, avvalendosi in pochi, intensi momenti di una voce fuori campo ‘originale’. Protagonista Nicola, prima bambino diverso, fantasioso, che a scuola non andava tanto bene, che ha assistito ad un delitto e lo ha elaborato in un gioco di marziani che l’accanimento e l’ottusità di chi ha trattato l’anormalità come una malattia, ha reso uomo tacciato come malato di mente, internato da più di 30 anni in un manicomio, in realtà malato di solitudine a cui non resta altro che crearsi un amico immaginario al quale raccontare le sue storie.

La storia in sé non ci dice nulla che non si sapesse già, racconta i manicomi che cos’erano prima della Legge 180/78, nota come Legge Basaglia: un abominio della società che non riesce a comprendere la diversità e ad accettarla, ma tra episodi teneri (l’amore per Marinella bambina) e buffi (Nicola che conta le scuregge della suora al supermercato), quel che ci resta ancorato alla mente è la voce fuori campo del vero Nicola, che ci riporta alla realtà, alla storia vera che si sta ascoltando.
Celestini_Pecora_Nera_03Io sono morto quest’anno” è il refrain dello spettacolo, Ascanio Celestini ce lo ripropone ad ogni piè sospinto, scritto anche sul pannello dietro alla sua sedia che fa da scenografia povera insieme ad un manichino. La trama è fatta di movimenti in avanti e salti all’indietro nel tempo, tale da rendersi confusionaria sì, ma assolutamente meravigliosa col suo tocco lieve e toccante, a tratti poetico, a tratti scanzonato. Si ride quando si parla dei “meravigliosi anni ’60”, tutti “Sapore di Mare”, della nonna con le calze della farmacia e l’uovo fresco che puzza ancora del culo della gallina“, di bambini cattivi e ignari, dell’amore, tutto in un calderone di emozioni sapientemente dosate. Si diventa di colpo seri quando si sente la voce fuori campo che parla dell’esperienza allucinante dell’elettroshock.

Celestini usa la comicità per raccontare cose terribilmente serie, utilizzando la parola come segno ritmico, e trasformando il pensiero in un rintocco musicale, istintivo, senza pause, modulato sul respiro che crea momenti di travolgente libertà linguistica, liberatoria, popolana e popolare. Assistere al suo spettacolo è come intraprendere un viaggio in cui il percorso si tiene in piedi sul filo delle parole, tra divagazioni e immagini, che lasciano inebetiti sul finale, quando la voce registrata del “vero” Nicola ci dice: “Come si può camminare su un prato verde ed essere tristi? Lasciate a noi che stiamo lì dentro tutte le vostre tristezze“. Da brividi.

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