Il sapore della cenere – Speak truth to power
ROMA – “E sai che potrebbe essere la tua ultima ora, aspetti nel buio l’ora della verità… Ma non siamo mai rimasti veramente soli ad aspettare al buio la verità, anche nei momenti più bui c’è sempre stata almeno una persona che si è fatta avanti per proteggerci… Se non lo facciamo noi, chi lo fa?… Ho fatto ciò che andava fatto, tutto il resto avrebbe avuto il sapore della cenere…“
Ma che cos’è il coraggio? Cos’è che spinge alcuni uomini e donne a ribellarsi, a non accettare oltre i soprusi e le ingiustizie, a sopportare la tortura, la prigione, la privazione di tutto, a rischiare perfino la propria vita?
Forse è la speranza, una luce in fondo a quel tunnel buio: la speranza in un mondo migliore, più giusto e più libero, che non si può ottenere rimanendo passivi, sopportando in silenzio. Non c’è nulla di peggio dell’apatia, del restarsene seduti senza dire niente contro le ingiustizie.
L’unica possibilità di salvezza è nel far sentire la propria voce, portare la propria testimonianza alle orecchie del mondo, per scuoterlo da quel torpore che ha reso l’umanità ‘libera’ indifferente di fronte al dolore, all’orrore, alla crudeltà e all’ingiustizia.
E proprio le voci di uomini e donne che hanno lottato e che continuano a lottare per affermare i diritti umani nel loro paese sono le protagoniste de Il sapore della cenere, in scena al teatro Eliseo di Roma dal 19 al 21 maggio scorso, in prima nazionale.
Il testo, del drammaturgo cileno Ariel Dorfman, è ispirato al libro Speak truth to power, nel quale l’attivista per i diritti umani Kerry Kennedy (figlia di Robert) ha raccolto cinquanta testimonianze da più di trentacinque paesi in cinque continenti, disegnando un intenso arcobaleno di eroi del nostro tempo. Uomini e donne che hanno subito sulla propria pelle la violenza, la tortura, la minaccia di morte e che hanno dedicato la loro vita a difendere i diritti delle donne, il diritto a un processo equo, la libertà di espressione o di religione, contro ogni forma di schiavitù, lo sfruttamento dei bambini o la guerra.
Alcune voci sono di personaggi ormai noti a tutto il mondo, come Vaclav Havel, Rigoberta Menchù Tum, Desmond Tutu o il Dalai Lama, ma la gran parte sono sconosciute al di fuori dei confini dei loro paesi e alcune hanno dovuto mantenere l’anonimato, per non mettere a repentaglio la loro esistenza e compromettere le loro attività umanitarie. Dall’Africa all’America, dalla Cina all’Iran, dall’Irlanda alla Serbia, raccontano di detenuti in isolamento disumano, di ore al buio passate ad attendere il momento della tortura, di aguzzini stupratori, di donne-bambine violentate dai fratelli e uccise per salvare l’onore di famiglia, di ragazze sfuggite all’infibulazione e abbandonate per anni in prigioni malsane in attesa della concessione dell’asilo politico, di madri costrette a fare sesso coi figli, di bambini abusati, di bambine destinate dalle famiglie ad essere schiave dei preti di un tempio, di desaparecidos di ogni razza e nazionalità.
Ma sono voci che non si limitano a raccontare gli orrori e contare le vittime. Attraverso l’esempio del loro grande coraggio e determinazione nell’affrontare il pericolo e gli abusi del potere, apparentemente insormontabili, infondono e trasmettono un messaggio di speranza, la possibilità reale di un cambiamento.
A portare queste voci sul palcoscenico sono un gruppo di giovani attori professionisti diretti da Juan Diego Puerta Lopez, regista e coreografo nato in Bolivia, ora in italia da diversi anni, molto sensibile agli argomenti trattati, avendo anche lui sperimentato la crudeltà della censura nel suo paese.
Nella sua messa in scena alterna frammenti dei racconti tratti dal libro a coreografie che rievocano scene di torture, sofferenza e umiliazione, costruendo quasi dei suggestivi quadri viventi, con l’aiuto di innocui oggetti di uso quotidiano, come scarpe, secchielli, corone gonfiabili, cordicelle e coloratissimi fiori, trasformati in simboli di potere e sopraffazione, che tappano le bocche e soffocano le voci.
Sullo sfondo, le bellissime foto che ritraggono i volti delle voci narrate, tratte dal libro e opera del premio pulitzer Eddie Adams, si alternano ai contributi in video offerti da Piera degli Esposti, Enrico Lo Verso e Alessandro Preziosi, che è anche produttore dello spettacolo.
A far da contraltare alle voci dei difensori sono in scena anche i torturatori, i loro carnefici. Freddi personaggi altrettanto prigionieri delle loro stanze degli interrogatori o della tortura.
Cinici e sprezzanti, essi deridono gli sforzi delle loro vittime, tentando costantemente di fiaccare il loro coraggio e togliergli la speranza facendoli sentire abbandonati, soli, perché tanto nessuno ricorderà i loro nomi e il loro sacrificio sarà stato vano.
Ma questo viene lasciato al pubblico: tornerà a casa e cercherà di dimenticare tutto con un leggero senso di fastidio o porterà con sè, nel cuore, le parole e continuerà ad ascoltare il grido delle vittime del mondo?
Emanuela Meschini, Il sapore della cenere – Speak truth to power, martelive, martemagazine, Report Live, teatro