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Greenwhich: musica e parole

[MUSICA]

Eccomi finalmente in uno dei luoghi “caldi” della musica dal vivo, emergente e non: il Contestaccio di Roma.
Ci si trova a chiacchierare tra risate, volti folli e musica, ad estraniarsi per un attimo dalla realtà. Così il tempo vola ed è già l’una: è il momento dei Greenwhich. I cinque sorridenti, timidamente salgono sul palco, e senza rendersene conto si sentono le prime note e i primi ritmi a riscaldare l’ambiente.
Si inizia con un bel pezzo strumentale che svanirà all’improvviso bloccato dalle parole della cantante, Francesca Xefteris: ”Il check è finito, possiamo iniziare”.

Adesso si parte veramente con “Solo un uomo”, canzone dai toni caldi, solare e leggera al punto giusto. Al termine il sorriso per la frase di Matteo Locasciulli, bassista: “Partiamo con le ballate, ci stanchiamo ad andare forte.32 di metronomo…”. E così sia. Infatti è il momento di una cover intensa e originale, di una canzone che forse aveva già detto tutto, “L’anno che verrà” di Lucio Dalla. Trasportata dal tempo mi ritrovo a battere il piede per terra fino ad uno stop improvviso e decisamente indovinato.
E’ la volta di “La scusa perfetta” che gelidamente trascina verso l’imprevisto: tra le note una corda salta, ma lo spettacolo va vanti e si continua a suonare anche così, tra le risate.
Dal buio compare uno strano individuo con lunghi capelli neri e un cilindro nero adagiato dolcemente sulla sua testa, che stranamente sorride e tende verso il chitarrista il pezzo mancante.
E mentre tutto cerca di tornare al proprio posto, c’è spazio solo per la voce e la chitarra ad eseguire “Insieme a te non ci sto più”. Mentre la musica riempie l’aria l’abbraccio tra i musicisti delle “retrovie” (forse partecipi dell’atmosfera o forse solo impazienti di suonare n.d.r.).Ed ecco il primo singolo della band “Anni’70”, un pezzo energico e grintoso per smuovere e divertire prima di “In vino veritas”, canzone tesa tra accordi cupi e una voce quasi sussurrata : “in vino veritas, hai distrutto la parte più bella di me. Bevi piano su bevi il mio bicchiere pieno di veleno”.
E’ il turno di “Ogni cosa che stai cercando”. Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dalla musica di un pianoforte delicato e incisivo, mi immagino in un prato soleggiato, con degli occhiali gialli a ripararmi dal sole e sorridente passeggio, salutando il “resto”.
Dopo un attimo di surreale desiderio e inaspettata gioia e follia, mi ritrovo al buio della sala ad ascoltare un altro momento in cui sono gli strumenti a parlare, a dimostrare la loro energia guidati dalla versatilità del basso e della batteria, prima di “Killers”, canzone con una netta inflessione dance.
Si chiude con “Fuori dal mondo” e con un arrivederci alla prossima esibizione.
A fine concerto il sapore di una performance decisa, ma forse ancora un po’ acerba. Nonostante un’indiscussa preparazione tecnica e artistica (che li ha portati ad aprire tre date di Ligabue e una di Elisa), il “giovane” gruppo romano ha bisogno di ancora un po’ di tempo per amalgamarsi perfettamente e dare alle sue creazioni quel tocco di corposità e di intensità che solo con il tempo si riesce a trasferire sul palco, lasciandosi andare completamente alla musica, dimenticando gli occhi che dall’altra parte ti osservano.

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