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MegaSound: difficolta’ e soddisfazioni dell’Indie

Sapevo fin dal primo minuto che non sarebbe stata un’intervista ma un’associazione a delinquere.
Appuntamento ore 13.31 da Luzzi il “buiaccaro” al Colosseo NON MANGIATI (ossia a digiuno).
Dopo mega amatriciana accompagnata da quartino di vino rosso, svoltiamo l’angolo del ristorante e siamo di fronte al portone di MegaSound, arriva anche Mini dei Mini K Bros.
Con un passo entriamo dentro il magico mondo musicale della MegaSound.


E’ l’ufficio di rappresentanza” mi dice Phella, “lo studio di registrazione è da un’altra parte”.
L’ufficio è piccolino ma mette subito a proprio agio, sembra di entrare in una casa di studenti: ci sono libri, cd, dischi, computer, aggeggi spaziali sparsi, action figure dei Beatles e poster.
Mi presentano Valentina, quella che poi scopro è la curatrice della sezione Artists&Repertoire, che strimpella la chitarra mentre rimane incollata al Pc.
Mi scelgo la poltrona, ovviamente vado a posizionarmi nel mezzo, in quella che definiscono “il Trono”…in realtà…una semplice poltrona rossa.
Ho preparato solo una traccia delle domande, ma andate dove volete voi” (mannaggia a me e quando ho detto questa frase, quell’”andate dove volete voi” ha significato un’ora e mezza di registrato…n.d.r.)
Posiziono il recorder sul tavolino accanto a due cesti di caramelle e cioccolatini, e iniziamo.

Allora, Phella, iniziamo dal tuo background musicale, parti dalle origini e racconta la tua formazione musicale fino ad arrivare a MegaSound. (Da notare che dal momento in cui è stato acceso il recorder, Phella si è sdraiato sul divano come se stesse facendo una seduta psichiatrica n.d.r.).
Nasco anche abbastanza precocemente, all’età di 13 anni, come dj, nel contesto techno hardcore romano a cui rimango legato sino ai primi anni ’90, periodo in cui mi accosto, grazie a mio fratello Massimo, dj che al tempo faceva parte della MobsterTribe, al Circolo degli Artisti, inizio così a cibarmi di reggae e ska. Sempre in questo periodo conosco IceOne, uno tra i primi a Roma/Italia che cercasse di trasmettere la cultura hip hop e mi fa scoppiare questa nuova passione. Con lui si forma il primo movimento hip hop romano chiamato TavernaOttavoColle, da cui partono le prime produzioni e moltissime collaborazioni con artisti della scena tra cui performance come dj con il Piotta. In questa temperie incontro Ras Noiz, Gerardo Greco, che diverrà il compagno di viaggio di tutte le successive avventure musicali. Insieme a Gerardo e djBaro nascono i Goodphellas, crew elettronica e parallelamente si decide di creare un’etichetta discografica indipendente che diverrà ufficialmente MegaSound nel 2007.

L’idea di un’etichetta indie nasce quindi da esigenze personali. Quali sono i presupposti che vi hanno condotto a questo tipo di scelta? (Intanto Mini gironzola per la stanza giocherellando con la chitarra che ha strappato a Valentina, poi si risiede, accende una sigaretta e si tuffa nel cesto delle caramelle mischiando quelle al miele con barrette di cioccolato e caramello n.d.r.).
Inizialmente la difficoltà di rapportarsi con le major, non con le ambizioni che ha oggi la MegaSound. Essenzialmente la necessità di essere liberi e di non rimanere parcheggiati in attesa di fantomatici sponsor e della possibilità di stampare un disco: ce lo stampiamo da noi. Dal 2007 esiste una struttura con un’identità ben delineata, con un modo di lavorare strettamente personale, composta da un team, con un direttore creativo (Davide Cardea) un coordinatore (Flaviano Vitulli) e uno staff specializzato, che diviene vettore per tutti i musicisti.

Ma quale pensi che siano le motivazioni di tutta questa difficoltà?
Nella maggior parte degli altri paesi la musica nasce nelle università, c’è una cultura underground. In Italia no, c’è un errore proprio a monte della questione, è l’approccio musicale ad essere sbagliato: nelle scuole elementari a fine anno c’è il saggio in cui gli scolari suonano “La Sinfonia dei Giocattoli” con il flauto!(a me lo dice? La mia maestra mi faceva suonare in playback!) Ed il modo in cui viene insegnata la musica è totalmente asettico, non c’è passione e questa passione non può certo arrivare da Sanremo o dal Festivalbar. In più nonostante la posizione geografica centrale rispetto all’Europa, l’Italia è uno tra i paesi che più rimane isolato anche per la mancanza di conoscenza dell’inglese. La musica e l’inglese sarebbero il ponte con il resto dell’Europa e la conseguente possibilità di un’apertura culturale.

Molto spesso, quindi, qui in Italia si trovano “artisti” in genere poco degni di questo nome più tendenti al mero prodotto commerciale.
La maggior parte dei progetti italiani sono impacchettati per la loro funzionalità e non verso la qualità. C’è una tendenza alla boy-band, perché rispetto a una crisi di settore le adolescenti sono più propense a spendere per i loro idoli. Non c’è capacità di comprendere la qualità, e questo è veicolato molto dai media che “educano” i teenager con prodotti scadenti, divenendo così business, non cultura (esempio lampante è il “marito” di Costanzo e tutte le sue “creature”).

In base a cosa invece MegaSound sceglie i propri artisti?
In base alla politica kamikaze del “me ne frego” e cerco di pensare in maniera trasversale. La MegaSound punta sulla qualità con il rischio di essere incompreso. Si cerca un prodotto che a partire dalla vibrazione sonora, fino alla veste grafica abbia un filo conduttore qualitativamente valido, cosa che potrebbe non sposarsi con la funzionalità. Non diverrà mai un contenitore di funzionalità, ma può far funzionare la qualità.

In questo contesto culturale, qual è la funzione svolta da MArteLive, quali sono e quali sono stati i rapporti con la MegaSound?
Con MArteLive c’è un rapporto di stima reciproca. Ci siamo incontrati perché entrambi cerchiamo di far emergere ciò che c’è nel sottosuolo. La mia esperienza con loro inizia come giurato alle selezioni del MArteLive, attraverso cui ho potuto conoscere molte band e vederne molte all’opera, come ad esempio i MiniK Bros., con cui poi i rapporti si sono saldati grazie anche al Conte Staccio.

Veniamo proprio ai MiniKBros…Mini, quali sono le vostre aspettative nei confronti di MegaSound?
Il nostro rapporto con loro è ottimo. Intanto ci hanno permesso di stampare un disco dopo soli 5 mesi di conoscenza, cosa che per noi era essenziale.
Esistiamo dal 2000, al tempo io lavoravo come dj a Il Locale, e mi sono incontrato lì con Mastro il mio socio dove veniva a suonare con Roberto Angelini. Abbiamo iniziato a suonare insieme e il materiale inedito era tanto. Adesso possiamo pensare a cose nuove. Intanto continuare a promuovere il disco che è uscito a Novembre, L’Ultimo, e poi stiamo progettando il terzo videoclip.
“pè fa la vita meno amaraaaa, me so comprato una chitara…”
(Niente, l’ho perso, ha ricominciato a suonare, tento di recuperare attenzione con un’altra domanda che penso lo tocchi da vicino, ma questa volta mi rivolgo a entrambi n.d.r.)

Quali sono le vostre previsioni rispetto alla scena romana e italiana in generale?
Phella: Il discorso si riaggancia a quello che ho detto prima, finché l’Italia non si mette al pari con il resto dell’Europa, il futuro è cupo…
Mini: Il resto dell’Europa è diverso, certo alcune scelte musicali sono dettate da intenti commerciali, ma per lo meno non hanno Sanremo, c’è chi vende di più e c’è chi vende di meno, ma tutti vengono considerati musicisti e riconosciuti come tali. A Roma fortunatamente ci sono moltissimi locali che promuovono la musica dal vivo, e il Conte Staccio è un esempio.
Phella: Il problema è che la massa non comprende che anche comprare un cd fa bene alla musica, va a sostegno del gruppo, e questa cultura non c’è. Non c’è nemmeno la curiosità di sapere cosa e chi c’è dietro la produzione di un cd, al massimo desta attenzione una copertina accattivante.

La maggior parte della gente afferma di non avere i soldi, ma come mai comunque tutti possono permettersi un Mojito durante il concerto?
Mancano i mezzi per poter percepire questa importanza, gli unici a svolgere questo tipo di educazione sono televisione e radio, e sappiamo tutti bene come sono gestiti.
Mini: Avviene perfino a livello locale, emittenti radiofoniche romane che dovrebbero garantire lo sviluppo e la diffusione di una cultura underground, presentano un tariffario anche solo per un’intervista, e questa cosa è giusto che si sappia.
Phella: E ci dobbiamo sentir dire che hanno dei costi. Tutto ha un costo, ma noi stampiamo a fondo perduto perché l’intento è quello di creare contenuti.
Mini: Non stiamo comprando uno spazio pubblicitario per sponsorizzare un nuovo prodotto, si sta facendo musica!

Abbiamo toccato questioni piuttosto interessanti, la realtà è con “questi due” l’intervista potrebbe andare avanti per ore! Preferisco farmi svelare i loro numerosissimi progetti un po’ per volta…
Spengo il recorder, mi rubo una caramella e li saluto, anche perché sono in ritardo pazzesco, come al solito.
Vorrei poter concludere in maniera un po’ più seriosa, anche perché nonostante la follia regni sovrana a MegaSound, sono state sollevate questioni importanti e soprattutto comuni a chi tenta di fare della buona musica.
Non è la prima volta che mi trovo di fronte a problematiche del genere. Purtroppo la sensazione generale che si ha nel tentare di liberare il nostro paese dalla “gerontocrazia” e dare spazio a nuove voci, è quella di annaspare nelle profondità del mare: la superficie è visibile anche se lontana, sai che puoi arrivarci, ma la corrente continua a spingerti a fondo, eppure dalle viscere arrivano vibrazioni continue di spinte potenti, basterebbe solo dare spazio per poter schizzare verso il cielo con un getto di pura energia…

www.megasoundrecords.com
www.myspace.com/minikbros
www.myspace.com/goodphellas

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